«Sono usciti dal divano. All’improvviso c’erano tutti questi animaletti neri che saltavano. Erano centinaia». La signora Lucia – nome di fantasia – racconta così l’invasione di insetti nella sua abitazione a Fondo Caiazzo. In realtá non è una casa ma un prefabbricato temporaneo con 30 anni di vita.
Lucia non vuole perdere l’assegnazione della casa, così non dice il suo nome. Ma non può restare zitta. Vuole parlare dello schifo e delle condizioni nelle quali lei e altre decine di persone vivono quotidianamente, con i bambini che giocano nella monnezza e il degrado assoluto. Angri nel 2011 è ancora in fase post terremoto.
Quello dell’80. E nei giorni scorsi cinque persone sono finite in ospedale per i morsi degli "animaletti neri saltellanti", l’ultima beffa per una intera famiglia colpita.
«Erano pulci – racconta Lucia – e mordevano. Mio marito e mia figlia di sedici anni erano pieni di punture sulle gambe. Abbiamo dormito con i pantaloni lunghi. Quegli animali erano dentro ma anche fuori, dappertutto. Il divano l’ho dovuto buttare.
E l’addetto della Asl che è intervenuto per la pulizia, mi ha spiegato che disinfestare è inutile se prima non si pulisce tutta quella monnezza fuori dai prefabbricati».
Gli insetti infatti proliferano tranquilli tra erbacce e rifiuti di ogni sorta. Dopo poche ore dalle operazioni di profilassi le pulci erano di nuovo a saltellare nel cortile. I cinque pazienti, tre bambini e due adulti, sono stati visitati e refertati all’ospedale "Tortora" di Pagani e poi dimessi. «Non possiamo più vivere così, non ce la facciamo più – spiega una signora venuta a parlare con Lucia per raccontare la sua storia – ce ne vogliamo andare, dateci le case. Sono trent’anni che aspettiamo».
Fondo Caiazzo è solo una delle zone che ancora ospitano i prefabbricati, ognuna con le sue ordinarie emergenze. Qui vicino c’è la ex scuola elementare che aspetta di essere abbattuta da anni. Ci sono i tetti di amianto, l’eternit e le discariche abusive riempite di notte da malfattori senza scrupoli.
L’edificio scolastico, un tempo pieno di bambini, è uno scheletro cieco zeppo di erba alta. Sembra una steppa spuntata in un cubo di cemento, con il caldo che picchia e ingiallisce. «Aspettavamo le case per settembre – protesta Lucia – ora diranno ottobre e poi ancora e ancora. Eppure sono pronte, ma perché non ce le danno e andiamo via?».
La mattinata declina tra i racconti. A pochi passi da questo girone suburbano c’è il centro storico con il suo castello. Un gruppo di ragazzini schizza via sui monopattini lucidi che stonano con il grigio. Quel che resta di un irrigatore sbuffa acqua putrida in un’aiuola.
Poco lontano gli addetti alla manutenzione sfidano un prato con il tagliaerbe, distribuendo ovunque steli di colore. La signora accarezza il piccolo nel passeggino, mentre le donne si ammucchiano fuori a parlare della loro quotidiana lotta per la decenza. «Grazie, giuvinò». Alfonso T. Guerritore