Il romanzo “Il colore dell’Ambra” di Stefano Carignola Sabatino (Editrice Carabba, 2017) è ispirato a una vicenda realmente accaduta: la tormentata nascita – come troppe ve ne sono in Africa – di Luna, una bambina togolese che non incontrerà mai i genitori. La madre, Alimata, morta per salvarle la vita e il padre Rahim, fuggito perché troppo povero e incapace di badare alla neonata.
Le pagine di questo libro narrano le vicende intime e umane di due giovanissime “donne”, i sogni, le speranze e i dissidi interiori che per molti aspetti s’intrecciano e si confondono.
L’incipit è dedicato alla fuggevole esistenza di Alimata, che l’autore non ha mai conosciuto, ma a cui si è ispirato, perché le “circostanze” un giorno hanno stabilito che, attraverso la piccola Luna, si incontrassero idealmente in un minuscolo e isolato villaggio del Togo.
La storia travalica lo spazio e il tempo in un continuo intreccio di personaggi accomunati dal desiderio di un riscatto sociale, costretti spesso a scavare in fondo alla propria esistenza per trovare un segno di speranza. Un viaggio visionario che, muovendo dal misterioso racconto di un amuleto, percorre culture, credenze, superstizioni, per giungere a una verità, viva nel dialogo interiore e trascendente di una figlia con la madre, che la vita ha voluto separare fisicamente.
Il romanzo è anche l’incontro di due anime, unite da una straordinaria voglia di vivere in una misera condizione di privazione; ma Alimata, sposa bambina, sognatrice, vittima dell’ignoranza e di un contesto sociale degradato, trasmetterà a Luna una forza superiore che le permetterà infine di riscattarsi, correggendo il suo destino.
Luna, adottata da una famiglia francese, intelligente, sensibile, determinata, diversamente dalla madre avrà alla fine la possibilità di studiare e di emanciparsi. Combattuta tra razionalismo, scaturito dalle “sollecitazioni” antropologiche e sociali, nella ricerca di una ragione terrena, tangibile, supportata da una capacità di investigare sulle cose del mondo, prima che in se stessa, e le “visioni”, frutto di una primordiale contaminazione culturale calata nella dottrina cattolica, la condurranno decisamente, attraverso un percorso introspettivo, alla scoperta dell’intima fede e della ragion d’essere.
Legata “idealmente” a Pierre, giovane e promettente ingegnere, Luna si ritroverà a Manhattan, dove avrà modo di comprendere il senso del suo vagare, difendendo i diritti dei senza voce e degli ultimi, dagli abusi del potere e dell’intolleranza razziale. Svelando i reconditi desideri di Alimata, fissati in un diario al quale affida la sua breve esistenza, la giovane togolese percorrerà l’inconscio, fino a quando appagata, placata, conscia finalmente del personale cammino interiore, deciderà allucinatoriamente di ritornare in Africa per ricongiungersi alla naturale realtà, ricostruendo la storia della sua vita, ma soprattutto riappropriandosi di un luogo e di un tempo che il “destino” le aveva sottratto.