Enzo Raiola è diventato uno dei volti noti nel panorama calcistico europeo e dopo l’iniziale percorso con il cugino Mino, oggi gestisce in prima persona top-player. Ci racconti la tua espoerenza nel mondo del calcio com’è cominciata?
“Sinceramente c’è tanta strada ancora da fare, ma una conseguenza al tanto lavoro prodotto negli anni da mio cugino Mino, di cui ne ho beneficiato in prima persona e grazie alla sua fiducia e soprattutto al “cognome”, ho avuto la possibilità di entrare in questo mondo per niente facile e di mio ho messo tanto lavoro e sacrificio cercando di captare i suoi insegnamenti per poterli poi riportarli in prima persona ai giovani e professionisti calciatori che fanno parte del team Raiola”.
Come nasce la tua passione per il calcio e cosa ti ha spinto a lasciare la tua Angri accettando la proposta di Mino a seguirlo?
“La mia passione per il calcio parte dagli approssimati campetti di strada che occupavamo con i miei coetanei ad Angri, poi negli anni sono iniziati ad uscire campetti in erba sintetica (90 minuto) dove ero presente quotidianamente tra gare tra amici o tornei amatoriali. Ho avuto la possibilità di frequentare la scuola calcio Angri all’epoca gestita da Patrizio Russo e Vincenzo Tortora. La passione si è spostata sul grande calcio, prima come spettatore, seguendo le sorti dell’US Angri 1927, e poi in campo nazionale ed internazionale. Durante i mondiali del 2006, avendo l’appoggio di mio cugino, ho scelto di lasciare Angri per iniziare questo percorso nuovo ed affascinante. Mino era già in una fase importante della sua carriera non per niente i primi calciatori che ho avuto il piacere di conoscere sono stati Ibrahimovic e Maxwell”.
-Donnarumma, Balotelli, Insigne e altri calciatori di livello internazionale profili diversi con esigenze diverse, come li gestisci?
“Ogni calciatore ha il suo carattere, il suo modo di porsi ed ognuno ha bisogno di vari servizi od esigenze. Come diciamo con tutti i nuovi assistiti che si avvicinano al nostro gruppo, prima di iniziare a lavorare ci deve essere un periodo di conoscenza, si deve creare la giusta conoscenza e fiducia come fosse uno della famiglia. In base alle nostre esperienze gestiamo chi più e chi meno ha bisogno di noi in varie circostanze, esempio c’è Gianluigi (Donnarumma) sento giorno e magari Balotelli una volta alla settimana”.
I riflettori sono sempre puntanti su agenti e procuratori che spesso finiscono nel mirino anche dei tifosi come fai a tenere la freddezza e l’equilibrio?
“Noi viviamo fasi di odio ed amore con i tifosi, momenti che ci acclamano per aver portato un top player nel loro club e poi critiche quando, invece, si sceglie di cambiare casacca. Pensiamo principalmente al nostro calciatore e ai sui interessi, il fine del nostro lavoro, visto la breve carriera dei calciatori, è quello di concentrare i massimi risultati economici e sportivi, molte volte questo costa lasciare la maglia del cuore, ma il nostro compito è ottimizzare al meglio la loro carriera”.
– Il calcio italiano vive un momento di forte crisi culminato con l’esclusione della Nazionale dai mondiali, cosa serve per rilanciare il nostro campionato e la Nazionale?
“Non è facile rispondere a questa domanda perché ci sono varie vedute e molteplici risposte e soluzioni per capire la causa di questa debacle della nazionale italiana. Dal mio punto di vista non sono gli stranieri (quelli forti) a creare questa problematica, basti pensare che negli anni 82 e 2006 quando siamo stati campioni del mondo tanti stranieri giocavano nel nostro campionato. Credo che il problema maggiore sia la crescita dei nostri giovani, molte società, anche professionistiche, non investono il dovuto per la crescita tecnica dei giovani: strutture scadenti, istruttori poco professionali e neanche qualificati, risorse della federazione per rafforzamento del settore giovanile molto limitate. In diverse zone italiane, (vedi Calabria, Sicilia, Basilicata) sono molto penalizzate dall’assenza di società che possono far crescere un giovane. Sono molto più favoriti giovani che vivono a Clusone (Bg) e non a Paola. Nei settori giovanili bisogna inserire la seconda squadra, perché a cavallo tra primavera e prima squadra c’è un differenza molto ampia e quindi per evitare che molti giovani si perdano perché non trovano spazio per giocare in quella fase molto importante della loro crescita occorre creare un campionato per le seconde squadre, lo trovo fondamentale”.
– Il calcio giovanile è inquinato dalla morbosità degli allenatori e dalla frenesia dei genitori quale la ricetta a tuo avviso per uscire da questa condizione disastrosa?
“Sotto questo aspetto ho solo pochi casi problematici, nelle mie scuole calcio di riferimento “istruiamo” già da piccoli i giovani calciatori, allenatori e familiari. Abbiamo dei nostri regolamenti interni che prevedono una gestione alla fonte per evitare questi problemi nella crescita dei ragazzi. Un esempio: i genitori non possono discutere azioni di gioco o contestare decisioni dell’arbitro durante le gare dei loro giovani figli, se succede una cosa del genere il primo a pagare le conseguenze è il proprio figlio con la sostituzione immediata. Non è una decisione molto democratica, ma solo così, una volta che il figlio torna a casa, farà capire lui ai propri genitori di restare in silenzio ad assistere la gara ed evitare di danneggiare il proprio figlio facendolo allontanare dal suo gioco e dal suo divertimento” .